Il problema di cosi grandi riconoscimenti è che, anno dopo anno, rischiano di divenire routine, di essere assegnati perché devono essere assegnati e non perché qualcuno realmente si è meritato il premio. Rischiano insomma di entrare a far parte di quell'industria culturale che caratterizza la nostra società. Il Pulitzer è talmente importante che, lo scorso anno, la vincitrice Jennifer Egon è stata inserita, dopo la vittoria, nella lista tra le 100 personalità più influenti al mondo, insieme al creatore di Facebook, Mark Zuckerberg, e Barack Obama, solo per citarne alcuni. Quest'anno, per quel che riguarda la narrativa, la giuria si è trovata in disaccordo sulla qualità dei titoli dei tre candidati (Denis Johnson, Karen Russell e David Wallace, deceduto nel 2008) ed ha preferito non assegnare il premio.
Una decisione di forte risonanza nel mondo letterario dato che da ben 35 anni solari la giuria non si pronunciava con il "no award". Vincere il premio, infatti, permette di vendere molta "spazzatura"; non assegnarlo, invece, fa infuriare gli editori come sta avvenendo in America in questi giorni.
Ciò che adesso è lecito chiedersi è se la letteratura americana stia attraversando un altro periodo buio, come quello degli anni Cinquanta, nel quale per ben due volte non fu assegnato il Pulitzer, oppure sia semplicemente un cambiamento epocale nel modo di rapportarsi tra media, scrittori e strumenti d'espressione.
Ciò che invece ha trionfato quest'anno è stato il giornalismo online; la giuria ha infatti dimostrato di apprezzare la crescente importanza dei siti internet, premiando l’Huffington Post e Politico.com, a testimonianza della società che cambia insieme, ovviamente, alla comunicazione.
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