lunedì 24 febbraio 2014

"12 ANNI SCHIAVO" di Steve McQueen

Steve McQueen porta sul grande schermo la storia di Solomon Northup, talentuoso violinista di colore che vive con la famiglia nella contea di Saratoga a New York. Siamo nel 1841 quando Solomon viene ingannato da due "amici" e venduto al mercato degli schiavi. Da quel momento inizia l'odissea che lo porterà da Washington alla Luisiana e che lo vedrà nel ruolo di schiavo negro sottomesso al proprio padrone. All'inizio della schiavitù, Northup mostra voglia di vivere piuttosto che sopravvivere, ma ben presto questa forza verrà sostituita dalla volontà di tirare avanti, evitare frustate e maltrattamenti. Dopo 12 anni di schiavitù, abusi, orrori subiti, e un tentativo fallito di inviare una lettera alla sua famiglia, il protagonista incontra Brad Pitt, nel ruolo di un bianco fermamente contrario alla schiavitù e alla disparità tra bianchi e neri, che lo aiuterà a raggiungere la libertà. Appare fin troppo evidente la metafora che vuole il personaggio interpretato da Brad Pitt come l'uomo del ventunesimo secolo, cosciente degli errori commessi dai bianchi, sintomo che la tragedia della schiavitù è ancora sentita dagli americani come una colpa da espiare.
L'inglese Chiwetel Ejiofor nel ruolo di Solomon è molto bravo e a tratti riesce ad emozionare lo spettatore per umanità e capacità di trasmettere sofferenza e disperazione. Da menzionare anche l'interpretazione di un insuperabile Michael Fassbender nel ruolo dello schiavista.

Il film di McQueen nel suo complesso è ottimo, anche se non eccezionale. Il paragone con "Django Unchained" purtroppo non regge. Dispiace dover fare un paragone tra questi, ma nella mente dello spettatore è un meccanismo automatico. Tarantino riesce ad imprimere una profondità psicologica ai personaggi che McQueen non riesce a dare. Nessuno degli uomini e delle donne di "12 anni schiavo" presenta infatti quella ambiguità umana necessaria per fotografare in modo reale quel dato momento storico. Ambiguità umana ed eccessi fondamentali per rendere un buonissimo film un capolavoro assoluto. Fin dall'inizio traspare l'idea manichea del regista, la posizione dei personaggi, la distinzione tra buoni e cattivi. In Django, invece, l'enigmatico personaggio di Samuel Jackson, maggiordomo di Di Caprio a cui non importa assolutamente niente del colore della pelle ma che offre la sua fedeltà al padrone, è un esempio di questa ambiguità.
Ciò detto, McQueen dimostra ancora una volta il proprio talento con scene drammatiche che lasciano lo spettatore attonito, come la fustigazione di Patsey (interpretata dalla brava Lupita Nyong'o) e sequenze emozionanti come il canto di gruppo degli schiavi.     

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