martedì 7 ottobre 2014

"PASOLINI" di Abel Ferrara

"Scandalizzare è un diritto. Essere scandalizzati è un piacere"

Forse il regista di questo film condivide la frase di Pasolini molto più di quanto pensiamo. Abel Ferrara ama stupire e scioccare il pubblico, adora navigare acque turbolente e anche attrarre su di sé le critiche. Le sue pellicole, da sempre, narrano storie di violenza, peccato, redenzione e tradimento. Quando decise di realizzare un lungometraggio su Pier Paolo Pasolini, avrà sicuramente immaginato le difficoltà che avrebbe incontrato nel portare a termine una impresa del genere. Questa volta, però, Ferrara non stupisce. Il film non dà (quasi) per niente l'idea della grandezza dello scrittore e regista bolognese, perché si limita a tracciarne i lineamenti superficiali. Non viene esplorato in profondità l'universo pasoliniano, con il risultato che gli spettatori escono dalla sala cinematografica con un senso di incompiutezza e, se vogliamo, di banalità. 
Cosa ha reso Pasolini un grandissimo della cultura italiana e internazionale? Quali tormenti agivano sotto la pelle dell'omosessuale Pier Paolo? Quali erano le sfumature del suo essere? Tutte domande alle quali il regista newyorkese non riesce a rispondere. Troppo facile accennare ad una idea di film e mostrare la morte del protagonista. Troppo riduttivo realizzare una pellicola del genere per rappresentare uno degli uomini più poliedrici del XX Secolo. Se in diversi altri lavori Abel Ferrara ha stupito e convinto, in questa opera viene bocciato. A mio modo di vedere il film è un fallimento, perché viene meno l'obiettivo primario: rappresentare e far conoscere agli spettatori, anche ai più giovani, la tanto controversa quanto produttiva esistenza di Pier Paolo Pasolini.

Da sottolineare l'incredibile somiglianza tra Willem Dafoe e il protagonista; e degna di nota l'interpretazione dell'attore, chiamato a un compito di certo non facile. 

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