domenica 26 ottobre 2014

"IL NASO" di Nikolaj Gogol'

"Il Naso" di Nikolaj Vasil'evič Gogol' è un piccolo capolavoro scritto nel 1836. Fa parte di una raccolta di racconti ambientati a Pietroburgo. La grandezza di questo breve testo sta nel fatto che Gogol' descrive la vita quotidiana dell'epoca collegandola ad un avvenimento di fantasia. In questo racconto, infatti, si narra la storia di un naso che si stacca dal volto di un uomo, rifiutandosi di tornarci. Il naso, travestito per non farsi riconoscere, gira per le vie di Pietroburgo e soltanto alla fine accetta di consegnarsi al legittimo proprietario. 
Quest'opera può essere interpretata come la volontà di Gogol', e con lui di molti altri scrittori dell'epoca, di ribellarsi all'idea di stampo illuminista secondo la quale tutto ciò che era reale era anche comprensibile. Con la conseguenza che ciò che non rientrava nella sfera della comprensione doveva essere per forza irreale. 
Questo racconto grottesco e umoristico può offrire diversi spunti: ad esempio, il naso che si stacca dal volto può essere inteso come una metafora dell'opera d'arte che si distacca dal suo autore, arrivando ad esserne indipendente e certe volte a superarlo.
Inoltre, Gogol' con questo racconto ha voluto muovere severe critiche alla società russa, incredibilmente gerarchizzata ed estremamente imbrigliata nella burocrazia, e al macchinoso apparato statale. Tanto rigido da permettere ad un naso di diventare un personaggio rispettabile, purché abbia i gradi.
L'autore traccia i lineamenti di una città dove tutto può accadere: grandissima, solenne e imperiale, nelle cui strade ci si poteva imbattere in ogni tipo di soggetto possibile ed immaginabile, teatro di stregonerie e di avvenimenti surreali...quasi avesse un'anima malefica. 

lunedì 13 ottobre 2014

"RADIO DAYS" di Woody Allen

Una parte della critica non considera "Radio Days" tra i massimi capolavori di Woody Allen, ma sbaglia. Il film, datato 1987, è una splendida fotografia della società americana degli anni Trenta e Quaranta ed insieme uno struggente omaggio alla bellezza del mezzo radiofonico. Attraverso la radio, il regista americano racconta piccoli episodi: la giovinezza di Joe, la guerra, i tanti fidanzati della zia, i sogni di gloria di una Mia Farrow in versione venditrice di sigarette e molto altro. 
Il film si compone di quasi duecento parti, che formano un incredibile collage, tanto ironico e divertente quanto malinconico e struggente. Il ricordo ha un ruolo centrale nella pellicola alleniana, tanto che per molti ricorda "Amarcord" di Federico Fellini.
Durante il film vengono contrapposte due realtà diverse: l'illusione che tutto ciò che attiene alla radio sia oro, da una parte, e le difficoltà di vivere in un mondo finto e troppo legato all'apparenza, dall'altro. 
Dopo Manhattan, un altro struggente e delicato atto d'amore nei confronti della sua New York.
Woody Allen, come sempre, riesce a tenerci incollati allo schermo, con scene esilaranti o con frammenti di vita quotidiana ricchi di nostalgia per un tempo che non c'è...e per un mezzo che rischia di scomparire. 
Ennesimo meraviglioso lavoro di un regista che non finisce mai di stupire per la facilità con la quale riesce a toccare lo spettatore...poco meno di novanta minuti di grandissimo Cinema.

martedì 7 ottobre 2014

"PASOLINI" di Abel Ferrara

"Scandalizzare è un diritto. Essere scandalizzati è un piacere"

Forse il regista di questo film condivide la frase di Pasolini molto più di quanto pensiamo. Abel Ferrara ama stupire e scioccare il pubblico, adora navigare acque turbolente e anche attrarre su di sé le critiche. Le sue pellicole, da sempre, narrano storie di violenza, peccato, redenzione e tradimento. Quando decise di realizzare un lungometraggio su Pier Paolo Pasolini, avrà sicuramente immaginato le difficoltà che avrebbe incontrato nel portare a termine una impresa del genere. Questa volta, però, Ferrara non stupisce. Il film non dà (quasi) per niente l'idea della grandezza dello scrittore e regista bolognese, perché si limita a tracciarne i lineamenti superficiali. Non viene esplorato in profondità l'universo pasoliniano, con il risultato che gli spettatori escono dalla sala cinematografica con un senso di incompiutezza e, se vogliamo, di banalità. 
Cosa ha reso Pasolini un grandissimo della cultura italiana e internazionale? Quali tormenti agivano sotto la pelle dell'omosessuale Pier Paolo? Quali erano le sfumature del suo essere? Tutte domande alle quali il regista newyorkese non riesce a rispondere. Troppo facile accennare ad una idea di film e mostrare la morte del protagonista. Troppo riduttivo realizzare una pellicola del genere per rappresentare uno degli uomini più poliedrici del XX Secolo. Se in diversi altri lavori Abel Ferrara ha stupito e convinto, in questa opera viene bocciato. A mio modo di vedere il film è un fallimento, perché viene meno l'obiettivo primario: rappresentare e far conoscere agli spettatori, anche ai più giovani, la tanto controversa quanto produttiva esistenza di Pier Paolo Pasolini.

Da sottolineare l'incredibile somiglianza tra Willem Dafoe e il protagonista; e degna di nota l'interpretazione dell'attore, chiamato a un compito di certo non facile.